Presidente da dove partiamo?
Dal nostro paese, certamente. Il trasferimento tecnologico e la valorizzazione dei risultati della ricerca applicata stanno acquisendo un ruolo sempre più rilevante nelle dinamiche di sviluppo dei sistemi economici e sociali moderni, specie per un tessuto industriale, come il nostro, caratterizzato dalla forte presenza di piccole e medie imprese. La necessità di promuovere il trasferimento dell’innovazione tecnologica dal mondo della Ricerca a quello dell’Industria si è fatta sempre più pressante, in questi ultimi anni, anche alla luce della crescente globalizzazione dei mercati. Per le Piccole e Medie Imprese Italiane, che generalmente non dispongono di valide strutture di ricerca, l’acquisizione di nuove tecnologie è di vitale importanza al fine di poter conseguire o mantenere una posizione di competitività sui mercati nazionale ed internazionale. I grandi mutamenti tecnologici che stiamo vivendo, infatti, hanno spesso preso origine dall’utilizzazione di risultati conseguiti in laboratori accademici, valorizzati e sviluppati in un contesto di investimenti con capitali di rischio (venture capital), rivelatisi strumenti efficaci per lo sviluppo dell’economia in molti paesi occidentali (USA, Gran Bretagna, Olanda, Israele), soprattutto in quei settori ad alta tecnologia che ci vede protagonisti nel mondo come aerospazio, biotecnologie, ICT per i beni e le attività culturali, green economy ma anche nei settori come quello dell’industria creativa.
Che ruolo ha l’Università?
L’Università rimane la sede naturale della ricerca. Il ripensamento del sapere necessario per impartire la formazione avanzata e il flusso di energie e di idee rappresentato dalle generazioni di studenti sono la base indispensabile per far progredire la ricerca nei settori più avanzati. Il trasferimento delle conoscenze dall’Università verso la società civile avviene attualmente attraverso diversi canali. Il primo, senza dubbio il più tradizionale ed il meno aleatorio, è il trasferimento attraverso la formazione del personale. I docenti/ricercatori trasferiscono ai loro allievi conoscenze e metodi che poi questi portano con sé nella società civile, dove queste conoscenze possono essere messe a frutto. Il secondo canale, sempre più importante nelle società avanzate, è l’applicazione di idee innovative messe a punto “per” la ricerca. Il trasferimento avviene spesso con la creazione di piccole imprese di spin off dalla ricerca. Infine, in settori come la medicina o la genetica, lo stesso sapere scientifico conquistato attraverso la ricerca può trovare applicazioni nel breve-medio termine: si tratta di innovazione ottenuta “con” la ricerca. Anche in questi casi, il trasferimento avviene attraverso imprese di spin off o con l’acquisizione e la cessione di brevetti. L’ampio spettro delle discipline coltivate, in raffronto, ad esempio, alla specializzazione dei centri di ricerca, è un elemento estremamente importante a favore delle università.
Alla luce di ciò, è necessario che il mondo universitario, soprattutto quello della ricerca di base, riconosca il valore del trasferimento tecnologico non come “sottofunzione”, ma come uno degli scopi della ricerca stessa. In parallelo alla crescita della ricerca universitaria. Le università italiane si devono dotare di strumenti atti ad identificare le conoscenze acquisite nel loro ambito, “con” e “per” la ricerca, e a valorizzarle adeguatamente, favorendo pertanto la creazione di piccole e medie industrie di alto contenuto tecnologico, tramite il rafforzamento di centri che facciano da snodo sul territorio in collaborazione con le autorità locali e con l’industria. Il governo delle università deve da parte sua facilitare la mobilità di docenti e ricercatori tra accademia e tessuto industriale. Il dinamismo mostrato ed i risultati conseguiti in questo settore dovrebbero essere considerati quale fattore di valutazione complessiva dell’Università stessa.
Da qui la Mission della Miami Scientific Italian Community?
La Miami Scientific Italian Community, è un’organizzazione non-profit di diritto americano costituita da ricercatori italiani, enti di ricerca privati e pubblici patrocinata dal Consolato Generale di Miami, con lo scopo istituzionale di promuovere lo sviluppo di rapporti coesivi ed una rete stabile di collegamento tra il modo universitario e quello industriale favorendo il trasferimento di tecnologie innovative tra l’Italia e la Florida/USA. Uno degli obiettivi della MiamiSIC è di agevolare la creazione di network informativi istituzionali Italia-USA su temi ed opportunità offerti dai rispettivi mercati, intercettare e condividere nuovi modelli di business e strategie innovative (know-how e servizi innovativi) e generare processi di outgoing ed incoming presidiando stabilmente il territorio USA. La MiamiSIC vuole promuovere collaborazioni tra ricercatori e imprenditori, facilitando lo sviluppo di progetti congiunti a livello locale, regionale ed internazionale, assistendo nelle attività di internazionalizzazione e nelle fasi di programmazione ed implementazione delle attività di ricerca, tutelando gli interessi dei membri e promuovendo le relazioni tra professionisti nelle varie discipline per catalizzare l’integrazione di competenze e tecnologie che possano generare nuove sinergie con ripercussioni nel settore produttivo ed economico. Il progetto della MiamiSIC è nato in un contesto molto favorevole nello Stato della Florida, sede di una comunità in continua crescita rappresentata da ricercatori ed imprese.
Le pongo una domanda diretta. Cosa dovrebbe fare il nostro Paese per i giovani ricercatori italiani?
Secondo me dovrebbe innanzitutto credere di più nella cultura. Mi ha molto colpito che andando a parlare in un università, la FIU di Miami un ricercatore mi disse Roma e l’Italia non si raccontano in una settimana. Identità e Cultura. Se diamo per certo e io lo darei questa riflessione direi che abbiamo bisogno di investire di più nella qualità di cultura di chi ci circonda. Questo purtroppo è il ritratto dell’Italia, perché non possiamo sempre prendercela con l’uomo al comando, direi che il Paese investe molto poco in quello che è l’avanzamento e l’innovazione della conoscenza e la qualità dei contenuti che stanno dentro la comunicazione a tutti i livelli.
Problema culturale?
Io direi che dobbiamo cominciare a dire a cosa serve la ricerca, non serve soltanto al prodotto interno lordo, non serve soltanto a trovare lavoro ai ricercatori, proviamo a rivoltare il discorso a che cosa ci servono i ricercatori a cosa ci serva la ricerca. Il nostro art. 9 della costituzione dice che l’Italia promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca, cultura e ricerca sono fondamentalmente unite. L’Italia spende troppo poco in ricerca, in media sotto gli altri partner Europei, per darle un solo dato contribuiamo con circa 900 milioni alla ricerca europea e riusciamo a “portare a casa” bandi solo per 600 milioni e questo perché siamo un paese che ha coltivato poco l’attitudine alla ricerca.
La Ricerca è un investimento fondamentale?
Il ricercatore bravo attira su di se soldi, se poi questi vanno a finire in altri contesti avremmo anche un problema economico, di PIL. Quindi è una risorsa economica e non solo intellettuale. È fondamentale che ci sia un tessuto di ricerca diffuso e continuo che riesca poi ad intercettare i grandi picchi della ricerca e questo è quello che ci manca e credo che non si risolva con provvedimenti una tantum, bisogna aumentare in modo strutturale i fondi. In una sola battuta riconoscere il loro lavoro e valorizzare la loro ricerca come patrimonio tangibile.
Come si comportano le imprese?
La carenza di fondi riduce fortemente la circolazione del “sapere” tecnologico tra università ed impresa, limitando il trasferimento delle conoscenze solo a quei progetti con un’immediata ricaduta commerciale e a quelle realtà imprenditoriali economicamente più forti ed in grado di sostenere i costi di servizi innovativi. Il risultato di questo mancato collegamento è che molte aziende tendono a cercare all’estero le innovazioni tecnologiche di cui necessitano ma al cui sviluppo non partecipano assumendo sempre più il ruolo di “follower” e sempre meno quello di “leader”.
Cosa si può fare?
A questi ragazzi bisogna dire che il loro lavoro serve per creare un paese più consapevole e più civile. Mi ha molto colpito l’immagine che abbiamo dall’estero sembriamo un paese privo di futuro, privo di consapevolezza, è un paese con il 47% di analfabeti funzionali. In questa situazione la ricerca ha una funzione civile fondamentale. Se noi vogliamo cambiare dobbiamo cominciare a pensare che tra ricerca e cultura c’è un rapporto forte. Comincerei a ragionare in questi termini, la ricerca serve a cambiare un paese, a cambiarlo nella sua identità a cambiarlo nella coesione sociale a creare un consenso diffuso che censuri qualsiasi pratica del passato. La ricerca ci serve per essere più civili, più moderni, più capaci di dire a questi ragazzi rimanete in Italia, il tuo Paese ha bisogno di te.
Ogni anno il Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale riunisce gli Addetti Scientifici in una conferenza alla quale partecipano i vertici del mondo della ricerca, dell’università e delle imprese innovative e start-up. Una Relazione tra i principali attori del sistema Italia e la rete Diplomatica.
Partecipiamo molto volentieri e da anni a questo incontro e poniamo argomenti di riflessioni e alcuni suggerimenti condivisi con la nostra base. Per primo attenzione specifica ai principali hub economici USA attraverso personale specializzato. Per esempio, la Florida, quarta economia USA e terzo stato per popolazione, non ha un funzionario consolare con il ruolo di Responsabile Economico-Commerciale. Ovviamente pensare che per un paese vasto e complesso come gli Stati Uniti possa bastare l’ufficio economico dell’Ambasciata di Washington é pura illusione. È necessario organizzare una rete radicata sul territorio di professionisti capaci di intercettare le opportunità per le imprese e introdurle nel contesto politico-economico locale. Una rete che abbia almeno 1 persona di riferimento (che non può essere il Console – già impegnato su molte altre linee d’intervento e spesso nuovo anche al contesto locale) per ognuna delle 7-8 città più importanti degli USA. È necessario forte radicamento locale e un network consolidato, attingere a professionalità locali (possibilmente con cittadinanza italiana ma residenti da almeno 5-10 anni nel territorio) , non a funzionari che girano ogni 4 anni. Ovvero devono essere individuate ed assunte figure, provenienti anche dal mondo delle imprese, che abbiano un’esperienza specifica manageriale e che siano in grado di costruire e mantenere un patrimonio di contatti con organizzazioni, associazioni ed imprese locali da mettere al servizio delle aziende italiane che vogliano operare nel territorio in questione.
Meglio poche attività ma utili e d’impatto?
A volte si nota un iperattivismo di Consolati ed Ambasciate finalizzato esclusivamente ai report burocratici-amministrativi da presentare alla Farnesina. Si collezionano iniziative di scarso impatto al solo fine di arricchire il programma d’attività da presentare. Probabilmente passare da un sistema di valutazione quantitativo ad uno qualitativo aiuterebbe a calibrare meglio le iniziative territoriali. Piuttosto che impiegare risorse a compilare schede economico-commerciali, che molto spesso contengo informazioni di carattere macro-economico facilmente reperibili su Internet, o ad organizzare eventi autoreferenziali per la comunità italiana, si dovrebbero concentrare gli sforzi in attività mirate di accompagnamento alle aziende. Ovvero le aziende che dimostrano di avere un business plan serio sul mercato estero potranno godere di un supporto diplomatico negli incontri con autorità, associazioni d’impresa ed organizzazioni locali per lo sviluppo economico. Il numero di aziende che sono state accompagnate in questo percorso dovrebbe rappresentare il metro di giudizio più importante per il funzionario economico-commerciale. Per i Consolati non un semplice ruolo di coordinamento di facciata, ma un compito specifico tra le organizzazioni che fanno parte del Sistema Italia all’estero.
I ruoli definiti sono nella realtà fatti già abbastanza facilmente individuabili:
- ICE: Grandi fiere nazionali, missioni di sistema, iniziative strutturate con le associazioni di settore;
- CCIE: Assistenza mirata a piccole imprese per export ed investimenti all’estero, incoming di operatori esteri in Italia, eventi promozionali che coinvolgano i brand italiani già presenti sul territorio, formazione e seminari in collaborazione con la rete dei liberi professionisti, studi legali ed altre realtà di consulenza;
- Rete Diplomatica: Assistenza a grandi imprese per appalti pubblici, investimenti rilevanti all’estero, facilitazione contatti con organizzazioni ed associazioni d’imprese locali.
- Associazioni dei ricercatori italiani all’estero, una rete stabile di collegamento tra il modo universitario e quello industriale favorendo il trasferimento di tecnologie innovative tra l’Italia e il resto del mondo.
Per le iniziative internazionali come la “Settimana della Cucina Italiana nel Mondo” o la “Giornata Mondiale del Design Italiano” hanno senso solo se sono adeguatamente pianificate e dispongono di risorse, altrimenti si tratta solo di una collezione di eventi slegati tra loro, lasciati alla buona volontà delle strutture locali.