Alcuni capitani coraggiosi della produzione cinematografica italiana hanno permesso al cinema italiano negli ultimi anni di conquistare una quota di mercato nazionale di assoluto rilievo.
Paradossalmente, nello stesso tempo, si è ridotta la presenza internazionale del cinema italiano in termini di esportazioni e di co-produzioni con l’estero.
Sembra quasi che il successo sul mercato italiano abbia come offuscato l’attenzione degli operatori sull’essenzialità dei numeri che si guadagnano sul mercato internazionale per la sostenibilità economica di un film.
Questo offuscamento rischia di mandare in tilt la filiera cinematografica nella misura in cui il prodotto, a cui manca la validazione del successo sul mercato internazionale, concorre a far scadere il processo autoriale e realizzativo in termini di qualità, pagandone poi i costi anche sul mercato interno.
Un progetto per l’internazionalizzazione diventa quindi strategico per rafforzare la catena del valore dell’intero comparto audiovisivo.
Progetto che deve poggiarsi su due tasselli. In primo luogo, su una consapevolezza degli operatori dell’audiovisivo, oggi mancante, della essenzialità del mercato internazionale per rafforzare le proprie società e stabilizzare i propri processi di sviluppo. In secondo luogo, su una rimodulazione dell’intervento dello Stato e dei broadcaster che rappresentano tasselli essenziali del settore in funzione dell’internazionalizzazione.
Questa strategicità non deriva solo dall’importanza dei fondamentali economici dell’industria del cinema ma anche dai riflessi sull’economia italiana nel suo complesso. Difatti i film, nella misura importante in cui concorrono a costruire l’immaginario collettivo del nostro Paese all’estero, riversano maggior valore sulle altre merci che l’Italia vende e sul turismo e sugli investimenti che attira.