Le aziende italiane che si affacciano su un mercato estero spesso si trovano a fronteggiare problemi legati alla proprietà intellettuale, problemi che rischiano addirittura di impedire l’ingresso su tale mercato oppure permettono un ingresso senza difese.
Ecco i casi più comuni, tratti dalla mia diretta esperienza:
– trovare il proprio marchio già registrato (in malafede) da altra azienda, magari da un proprio distributore;
– scoprire che il proprio marchio interferisce su quel mercato con un marchio anteriore di terzi di cui si violano quindi i diritti;
– entrare in un mercato a cui non è stato esteso in tempo il proprio brevetto, senza quindi possibilità di vantare diritti di privativa e permettendo quindi a terzi di imitare liberamente, o quasi, il proprio prodotto;
– scoprire che il proprio prodotto viola brevetti di terzi ancora validi in quel mercato.
Se da un lato è chiaro che sarebbe sempre opportuno estendere la protezione dei propri marchi e brevetti a tutti i paesi in cui si opera o si ha intenzione di operare nel prossimo futuro, spesso le PMI sono spaventate dai costi di tale protezione. Tuttavia, proprio in parallelo al fenomeno della globalizzazione, negli ultimi anni si sono create una serie di opportunità per proteggere i propri diritti in moltissimi paesi tramite un unico deposito e a costi assi ridotti.
Mi riferisco, a livello UE, alla possibilità di depositare a costi ridottissimi (intorno ai mille euro) un marchio o modello comunitario per 10 anni, oppure – a livello internazionale – di depositare un marchio attraverso il sistema dell’Accordo e Protocollo di Madrid e coprire così decine di stati tra cui UE, USA, Cina, Giappone, Corea del Sud e moltissimi altri.
Per quanto riguarda i brevetti per invenzioni, si potrà invece utilizzare il sistema del Brevetto Europeo, il recente Brevetto Comunitario (cui Italia e Spagna, con discutibile scelta, non hanno aderito, pur permettendo ai propri cittadini ed aziende di avvalersene) e il Patent Convention Treaty (che permette di “prenotare”, per un massimo di 30 mesi, l’estensione di una propria domanda di brevetto a quasi tutti i paesi del mondo): si spera che in un prossimo futuro i costi per le estensioni all’estero dei brevetti vengano ulteriormente abbassati limitando la traduzione alle sole rivendicazioni.
Inoltre, per evitare di scoprire l’esistenza di problemi quando è ormai troppo tardi, ovvero quando si è già entrati sul mercato estero, è sempre consigliabile condurre preliminarmente una ricerca sui marchi registrati del paese di interesse e, sebbene più complessa, una cosiddetta ricerca di “freedom to operate” ovvero una indagine – condotta da uno specialista di IP del paese di interesse – sull’esistenza di eventuali diritti brevettuali altrui che potrebbero essere violati da quel prodotto in quel determinato mercato. L’aver ottenuto un rapporto favorevole di “freedom to operate” avrà anche effetti importanti nel caso emergano successivamente diritti di terzi non segnalati dalla ricerca: a quel punto si potrà dimostrare di aver agito in buona fede sulla base di tale rapporto favorevole e si eviterà ogni pagamento di danni.
Quindi, tenendo conto che ormai il 50% del valore delle aziende tende a concentrarsi nella propria IP, sui mercati esteri le PMI italiane devono prestare a questo aspetto la massima attenzione, mai dando per scontato che ciò che è proteggibile o lecito in Italia lo sia automaticamente anche all’estero: i controlli vanno fatti e la protezione va ottenuta prima di entrare sul mercato di ciascun paese di interesse. In ciò una PMI si affiderà normalmente a uno specialista di IP del proprio paese che dispone di una rete di corrispondenti in tutto il mondo, come lo studio legale di cui faccio parte (www.jacobacci-law.com) e lo studio di consulenza Jacobacci & Partners (www.jacobacci.com) con cui strettamente collaboriamo.
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